“(…) É una poetica della femminilità, del gioco pensoso, dell’infanzia e della maternità, dell’attesa e dell’abbraccio, tutti oggetti della meditazione e della creazione artistica che risultano di una limpidezza e di una semplicità commoventi (…)”
Vittorio Sgarbi
“Angela Micheli è pura, colta, non conosce finzioni, sono figure strappate alla memoria, ma non riconsegnate alla vita, rimaste in un limbo a metà tra la realtà fenomenica e la dimensione assoluta” Vittorio Sgarbi
Se è difficile capire quale strada seguire per un giovane pittore continuamente tentato dalle facili, e spesso appaganti suggestioni delle mode, ancor più difficile è stabilire oggi il proprio orientamento per uno scultore. E’ certo che in questo momento in Italia le soluzioni più sicure e convincenti vengono da artisti figurativi, la cui intelligenza creativa produce risultati di grande autenticità spesso sottovalutati.
Angela Micheli è uno spirito puro, genuino, poco disponibile alle soluzioni virtuosistiche, cui pure sembrerebbe inclinata la sua scultura, i cui soggetti prevalenti sono fanciulli, corpi femminili e maternità. La Micheli non ama le deformità, le sintesi improvvise, gli ingrandimenti, ma vuole raccontare la quotidianità, senza traumi e angosce. Chi guarda con occhi innocenti le donne di Angela Micheli, poiché si tratta soprattutto di donne, è colpito insieme dall’estrema singolarità espressiva dei corpi, dei volti, delle pose e degli sguardi. Il recupero del corpo umano non è esercizio o pretesto, ma richiamo alla verità della vita, così spesso ignorata per l’elaborazione di inutili artifici, parola, quest’ultima, che la Micheli non conosce. Angela Micheli è pura e colta, non conosce finzioni, ma soltanto l’impegno di continuare a vedere, senza scomporsi, il mistero della donna e della sua inesauribile varietà.
Nelle sculture della Micheli non c’è nessuna apologia della fecondità, nessuna deificazione della “donna madonna”, nessuna nuova icona creata attorno all’”angelo del focolare”; forse ancora qualche concessione all’intimismo sentimentale, certo, ma in una materia originale che ci permette di non considerarlo un luogo comune. L’intimismo della Micheli mi sembra comunque sui generis, non rinchiuso esclusivamente al piacere del ricordo individuale.
Sono predisposte alla “spersonalizzazione“ quelle madri e quelle apprendiste madri (le bambine con i bambolotti) senza veri e propri occhi, incapaci di comunicare attraverso quel essenziale veicolo di affetti che è lo sguardo; sono figure strappate alla memoria, ma non riconsegnate alla vita, rimaste in un limbo a metà strada fra la realtà fenomenica e la dimensione assoluta. Ci accorgiamo così che le madri presenti e future della Micheli incarnano quasi in maniera archetipa un tema formale e ideale che esula dal semplice riscontro intimistico: la donna che abbraccia, dispensatrice per l’umanità del dono dell’affetto, è una creatura conformata perfino fisicamente per svolgere questa funzione. E’ un modo per riaffermare la santità del ruolo materno, ma finalmente senza nostalgie fuori luogo, senza nuovi contributi al campionario delle ovvietà.
Vittorio Sgarbi - storico e critico d’arte, saggista e scrittore