“(…) É una poetica della femminilità, del gioco pensoso, dell’infanzia e della maternità, dell’attesa e dell’abbraccio, tutti oggetti della meditazione e della creazione artistica che risultano di una limpidezza e di una semplicità commoventi (…)”

Alessandro Giovanardi

Annamaria Bernucci

 

Corpi e volti posseggono l’ancestralità e l'eternità dell'esistenza umana. Una energia che stenta a sopirsi sembra abitare le sue opere. La stessa che la sua persona irradia ( … ) Annamaria Bernucci

 

Nel ventre caldo della terra, tra stanze e corridoi ipogei di misteriosa origine, le sculture di Angela Micheli hanno trovato di recente un’inedita corrispondenza, una riappropriazione simbolica, come dire, dalla terra alla terra. E’ accaduto, come spesso accade per frutto di una felice combinazione di intenti e di suggestioni, a Santarcangelo di Romagna (Natale 2009). Qui nelle secolari grotte tufacee intagliate con perizia antica nel cuore buio e protettivo del paese, nell’arenaria tenera del Monte Giove, sono state collocate negli snodi focali delle gallerie sotterranee, le sculture in terracotta e in bronzo di Angela Micheli, artista di grande sapienza. Come magiche apparizioni, nella penombra delle complesse strutture architettoniche e accompagnati nell’itinerario dall’alito umido delle cavità, queste sculture hanno generato con il luogo una relazione magica, una mistica celebrazione, una ricerca del sacro. 

Si è subito colpiti dalla apparizione operosa della immaginazione di Angela Micheli, espressa nei suoi modellati, bronzi e crete. Appaiono irrorate di luce tenue e improvvisa, giovani donne, madri, fanciulle, bambine, bambole, come misteriose presenze. Sono state collocate nelle nicchie scavate nell’arenaria gialla, negli ambienti dalle grandi volte come cattedrali. Sono sedute su poltroncine di vimini intrecciato, assorte; assise sui troni della sacralità quotidiana, cattedre di sapienza e pietà, come è nelle leggi non scritte delle madri: tutto è assorbito nella emblematica figura, maestosa e prosaica al tempo stesso, della madre, il volto vagamente arcaizzante, gli occhi senza sguardo che affondano in un tempo remoto e primitivo, le forme che tradiscono una consapevolezza profonda della scultura classica, la forza anfibia dei grandi piedi plasmati che ancorano a terra, la stessa terra da cui sono generate le figure. 

Una ricerca, quella di Angela Micheli, capace di incunearsi con forza nella migliore tradizione scultorea italiana, quella che affonda nei nomi di Marino Marini e Agenore Fabbri ma anche quella più recente e contemporanea di Ugo Riva e Ilario Fioravanti. 

Colpiscono le lunghe braccia avvolgenti, che stringono quasi per paura dell’abbandono. 

E il primo abbandono dell’umanità, in fondo, è stato quello di scivolare dal ventre materno. “Il corpo si fa tempio” è stato scritto a proposito delle donne di Angela, traslando la sua riflessione sul tema della maternità e dell’infanzia, la sua “poesia degli affetti”, fatta di tenerezza e trasporto, costruita sul legame tra le sue donne e il mondo assoluto del puer.  Le braccia si protendono verso un cenno di abbraccio, grembi e ginocchia accolgono generosamente l’abbandono tutto infantile dei bambini di lasciarsi andare nel sonno, i volti si sfiorano, si incontrano in un appagante conforto.   

La bambola, sinonimo di gioco, ma anche proiezione di una maternità futura, ciondolando dalle loro mani accompagna fedelmente tenere bambine colte nello smarrimento, nella concentrazione o nella loro gestualità più spontanea.

Sono le stesse bambine elette simbolo di continuità di vita che si ritrovano solitarie stilite, in attonita compostezza su sottili colonne ceramiche. Interrogano il presente, traguardano la storia e il passato, quello che Angela Micheli sa guardare con occhio acuto. Donne e bambine che si trastullano con la bambola e che alludono alle maternità future. 

Le bambole possono essere cullate e strette al seno, sono modelli universali che raccontano di ideali di femminilità e maternità che le bambine sono in grado di interiorizzare. Una prospettiva domestica che diventa spesso un esercizio per prepararsi ad affrontare il destino di donna adulta. Corpi e volti posseggono l’ancestralità e l’eternità dell’esistenza umana. 

L’artista scolpisce grandi alberi di terracotta che grondano di vita pulsante con nidi che si aprono alla vita: è qui il mondo di Angela Micheli, nella usa inesauribile pulsione, nella forza della materia plasmata, nell’autenticità del sentimento e dell’espressione. Una energia che stenta a sopirsi sembra abitare le sue opere. La stessa che al sua persona irradia.    

Qui, in questo luogo, tra queste stanze ipogee, l’artista con la costanza e la dedizione del fare, del misurarsi con la forza della materia, dei refrattari e delle argille, con la densità e il colore die pigmenti (spesso tempere) e dei suoi incanti figurativi ha trasformato la laboriosa attività dell’artista nella mater-faber, nella grande madre che fa. Come una primigenia Gea. 

Le donne e le bambine di Angela, specchio della sua attitudine inventiva e fedele trasfigurazione del reale, rappresentano un universo inviolato e fragile di incontri e silenziosi dialoghi. 

Temi legati tutti a una scena quotidiana, a un teatro degli affetti che si traduce a volte in racconto simbolico. Il sacro non è per Angela un luogo conosciuto, ma prefigurato, connaturato all’esistenza, nella vita delle donne. Nella penombra del loro quotidiano. 

Annamaria Bernucci  - storica dell’arte, responsabile Galleria Santa Croce di Cattolica (RN)